Rivalsa Iva in caso di accertamento

Rivalsa Iva in caso di accertamento

L’Agenzia delle entrate ha ribadito ancora una volta che la rivalsa dell’Iva è un rapporto privatistico e non può essere esercitata nei confronti di una società estinta. L’indicazione è stata fornita con la Risposta n. 176/2019 ad un’istanza di interpello. Si pone dunque ancora una volta il tema della neutralità dell’imposta in quanto l’impossibilità di recuperare l’Iva relativa alla prestazione posta in essere determina l’assunzione di un costo sulla società cedente.

La rivalsa: il rapporto privatistico

La rivalsa rappresenta lo strumento attraverso il quale il cedente/prestatore trasferisce l’imposta su di un altro soggetto passivo e così in avanti fino al consumatore finale. Essa costituisce, dunque, uno dei mezzi attraverso i quali realizzare la neutralità del tributo in quanto il soggetto inciso non è rappresentato dal soggetto passivo tenuto, eventualmente, al versamento del tributo nelle casse dell’erario, bensì dal consumatore finale.

In particolare, se il contribuente opera come committente o cessionario, l’imposta versata al cedente o prestatore viene “recuperata” attraverso il meccanismo della detrazione, quindi in regime di neutralità. Viceversa, se il medesimo contribuente pone in essere operazioni attive, il diritto di rivalsa consente a tale soggetto di non rimanere inciso dal tributo. In buona sostanza attraverso il “recupero” dell’Iva, realizzato mediante un’operazione di addebito, colui che ha effettuato la cessione del bene o ha posto in essere la prestazione di servizi si pone in una situazione di “neutralità”. Ciò in quanto l’eventuale debito nei confronti dell’erario risulta di fatto “traslato” su di un altro soggetto.

Per quanto riguarda la natura ed i connotati di tale diritto la dottrina ha osservato come al medesimo sia attribuibile la qualificazione di “obbligazione ex lege” del cessionario/committente nei confronti del cedente/prestatore che sorge per effetto di una cessione di beni o prestazione di servizi soggetta ad Iva. Secondo un orientamento oramai consolidato della Corte di Cassazione, il credito di rivalsa “ha natura civilistica e non investe il rapporto pubblicistico di natura tributaria”. Pertanto, se sorge una controversia tra i due soggetti cedente/prestatore da una parte e cessionario/committente dall’altra, in relazione dell’Iva dovuta in via di rivalsa, il contenzioso ha natura civilistica e non tributaria. In questo caso l’organo competente a dirimere la controversia è il Tribunale e non la Commissione Tributaria.

L’esercizio della rivalsa nell’ipotesi di accertamento

Secondo la formulazione originaria dell’art. 60, comma 7 del D.P.R. n. 633/1972 era previsto il divieto di “rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta pagata in conseguenza dell’accertamento o della rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi”. In buona sostanza tutte le volte che il cedente o prestatore subiva una rettifica dell’imposta dovuta al Fisco, il soggetto che aveva posto in essere le prestazioni oggetto di accertamento restava inciso dal tributo. Ciò in quanto era vietato – in questo caso – l’esercizio della rivalsa.

L’art. 93 del D.L. n. 1/2012 ha sostituito integralmente l’art. 60, comma 7 del D.P.R. n. 633/1972 al fine di renderlo conforme alla normativa dell’unione europea. Il testo novellato della disposizione prevede che “Il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi. In tal caso, il cessionario o committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa e alle condizioni esistenti al momento dell’effettuazione della originaria operazione”.

L’esercizio della rivalsa nell’ipotesi di accertamento: l’estinzione precedente della società cessionaria

Secondo l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle entrate con la risposta all’istanza di interpello in rassegna, il soggetto che ha subito l’accertamento non può esercitare la rivalsa se la società cessionaria si è estinta. Nel caso in esame la società cessionaria era stata cancellata dal Registro delle imprese ai sensi dell’art. 2495 c.c. Tale circostanza sarebbe dunque sufficiente, secondo quanto precisato dall’Amministrazione finanziaria, per non poter invocare l’istituto della rivalsa a seguito dell’accertamento disciplinato dall’art. 60, comma 7 del D.P.R. n. 633/1972. L’unica possibilità che consente il recupero dell’imposta è avvalersi della giurisdizione civile. La risposta dell’Agenzia delle entrate ha anche precisato che nell’ipotesi di mancato pagamento dell’Iva accertata non è neppure possibile recuperare il tributo nel frattempo versato nelle casse dell’Erario con l’emissione di una nota di variazione ex art. 26 del D.P.R. n. 633/1972.

Il divieto di esercizio della rivalsa sussiste, nel caso esaminato dall’Agenzia delle entrate, indipendentemente dalla sussistenza di tutti i presupposti che consentono l’applicazione del citato art. 60, comma 7. Pertanto, il rimedio civilistico sarà l’unica soluzione possibile anche se l’accertamento è definitivo ed il contribuente che lo ha subito avrà nel frattempo versato la maggiore Iva accertata. L’interpretazione negativa è fondata sulla particolare natura del diritto di rivalsa.

Secondo l’Agenzia delle entrate, l’articolo 26 del decreto Iva, che consente l’emissione di una nota di variazione in diminuzione, non può essere applicato. Ciò in quanto l’imposta deve essere stata preventivamente addebitata al cessionario in via di rivalsa e tale circostanza non si è verificata. Tuttavia non sussistono dubbi che il contribuente che ha subito l’accertamento resta inciso dal tributo e in tale ipotesi il tributo perde la caratteristica della neutralità riconosciuta dalla normativa dell’unione europea.

Fonte: FiscalFocus

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