Come dimostrare che la casa è abitazione principale
Immagina di ricevere, un bel giorno, da parte del Comune, una raccomandata con cui ti viene chiesto il versamento delle tasse su quella che, da sempre, è stata la tua abitazione principale. Secondo l’amministrazione non avevi diritto all’esenzione di Imu e Tasi su una casa ove non vi è prova che vivi quotidianamente. E questo perché, al di là di quanto hai dichiarato all’anagrafe nel momento in cui ha presentato la variazione di residenza, non hai mai compilato la modulistica predisposta dal Comune con cui autocertifichi il possesso dei requisiti necessari all’agevolazione in commento. A questo punto di chiederai: come dimostrare il contrario e contraddire quanto affermato dall’ufficio dell’ente locale? In altri termini, come dimostrare che la casa è abitazione principale?
La risposta a questo interessante quesito viene da una sentenza della Cassazione pubblicata poche ore fa [1]. La Corte parte prima dalla definizione di abitazione principale; chiarisce poi qual è il valore della modulistica prestampata dal Comune e, infine, si sofferma sulla possibilità, da parte del contribuente, di dimostrare in altri modi la propria dimora nell’immobile.
Le esenzioni da Imu e Tasi
Ad oggi non bisogna pagare né Imu né Tasi sull’abitazione principale. Per «abitazione principale» si intende quella ove tanto il contribuente-proprietario quanto il suo nucleo familiare ha fissato sia la residenza che la dimora.
La residenza è il dato che risulta all’anagrafe del Comune; ma questa, da sola, non basta per ottenere l’agevolazione fiscale, essendo un elemento formale spesso facilmente falsificabile (non sono pochi i casi di contribuenti che hanno dichiarato false residenze per non pagare Imu e Tasi sulla seconda casa). Così la legge richiede anche un ulteriore elemento: la dimora. La dimora è il luogo ove concretamente il cittadino vive, mangia e dorme per gran parte dell’anno. Tale luogo dovrebbe sempre coincidere con la residenza, poiché non è ammesso fornire una residenza in un luogo ove non si è reperibili (ad esempio l’appartamento in montagna o quello al mare). Ma tant’è: le truffe ai danni dei Comuni consumatesi negli anni passati hanno portato il legislatore a richiedere entrambi i requisiti.
I moduli per la dimora
Se la residenza risulta sempre dai registri anagrafici, la dimora invece – essendo una circostanza di fatto – andrebbe accertata caso per caso. Bisognerebbe cioè che i vigili urbani si recassero a casa di ogni contribuente per verificare se questi effettivamente vive lì. Ma un accertamento del genere sarebbe impossibile, specie nelle grandi città. Così alcune amministrazioni richiedono, per concedere l’esenzione dal pagamento di Imu e Tasi, la compilazione di moduli prestampati ove l’interessato autocertifica il luogo della dimora propria e del resto della famiglia.
Il quesito posto alla Cassazione è il seguente: se non vengono depositati questi moduli, esiste un altro modo per dimostrare che la casa è abitazione principale? Ecco la risposta fornita dai giudici supremi.
Secondo la Cassazione il Comune non può pretendere che a far fede sia solo il modulo predisposto ad hoc dal Comune medesimo sui requisiti necessari all’agevolazione. L’omesso deposito di tale modulo non preclude al contribuente di dimostrare, davanti al giudice, il possesso di tutte le condizioni per fruire dell’agevolazione fiscale sull’Imu e sulla Tasi. In particolare tale prova può essere fornita senza limiti, con qualsiasi indizio come, ad esempio, le bollette per le varie utenze.
Così, facendo notare dalle fatture della luce, dell’acqua e del gas che l’immobile non può che essere abitato per gran parte dell’anno, il contribuente riesce a vincere l’accertamento fiscale del Comune che chiede gli arretrati degli ultimi cinque anni di Imu e Tasi.
Possono dunque bastare le bollette a provare che l’immobile incriminato è abitazione principale in modo da ottenere l’agevolazione fiscale. E ciò perché il contribuente può dimostrare con ogni mezzo di vivere (o meglio, “dimorare”) nell’appartamento in questione: le fatture di luce, gas, acqua e telefono riferibili all’interessato costituiscono una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, liberamente valutabile dal giudice come ogni altra scrittura privata.
Fonte: www.laleggepertutti.it
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